Le Stelle
Lo
sguardo al cielo: un gesto che, ai più, può regalare al massimo un attimo di
stupore nelle sere d’estate, quando le stelle sembrano decise a dare il meglio di sé e brillano,
nonostante le luci della città, brillano nonostante quella fastidiosa
nebbiolina, che le rende tremolanti nel buio, come signore un po’ oltre l’apice
del loro splendore. Eppure, quello sguardo potrebbe superare la meraviglia,
entrare nel mistero e divenire uno
sguardo all’origine, all’infinito da cui proveniamo, all’arcano che ci vuole
polvere degli astri. Ecco dunque che, chi sa, si immerge in una marea di pensieri, di brividi, di
nostalgie, di sensazioni, di emozioni, ogni volta che il buio arriva e il cielo
si inonda di stelle .
E Maria sa, sa che lì c’è la chiave, il
segreto di questo cammino, il segreto dell’anima. Eppure, non è una strega, né
una fata e neppure un folletto: niente di magico, insomma. Niente a che fare
con l’occulto, con i riti del plenilunio o con le sacerdotesse di Iside. Lei,
le stelle le studia; lei, donna del duemila, le stelle le cerca nella notte, ne
spia le voci, i colori, ne segue la morte e traduce i messaggi che ci portano
dal passato. Perché le stelle sono la
voce o meglio, la luce del passato e gli occhi vedono luce, che più non è. Una
sorta di allucinazione, quella che si ripete ogni notte, testimonianza di Ere
trascorse, che hanno lasciato lì l’estremo messaggio o, forse, un monito per chi c’è e vuole coglierlo.
A questo punto, potremmo definire Maria: una
lettrice del passato. Poco può dire sul futuro, misterioso più che mai il
presente, ma le stelle ogni notte le portano un frammento da ciò che fu, dal
prima, prima del tutto, prima dell’ essere. Numeri, picchi oscillazioni, rumori
di fondo, il complesso linguaggio della scienza che lei, novella aruspice,
traduce, interpreta e tramanda per la conoscenza dei pochi, che sanno
ascoltare.
E così Maria vive; guarda le stelle, pensa ,
sogna e come tutti, litiga con i sottili, fastidiosi fili, che la legano al
quotidiano e alle uggiose azioni, che accompagnano la vita, in particolare quella di una donna. Perché
lei, la donna, la derivata di Adamo, in definitiva, la costola, è continuamente
in bilico fra la forza gravitazionale, che agisce su di lei con particolare
accanimento, tenendola incollata alla terra
e l’irrefrenabile impulso dell’irrazionale, che la spinge in alto,
altissimo per attimi brevi, istanti, che
rendono poi ancora più dolorosa la ricaduta. A rendere ancor più
problematico uno scenario già sufficientemente complesso, c’è anche
l’amore, la necessità irrefrenabile di prendersi cura di qualcuno o in
mancanza, di qualcosa. L’amore, che funziona in lei come forza dominante ed è
in grado di capovolgerle tutte le scale di valori. Scale che sono faticosamente
costruite con i sogni della ragazzina,
ricette sicure per la felicità: altissime con all’apice lei, donna in carriera,
e lui, il principe azzurro. E le scale poi, inevitabilmente, scivoleranno nelle
mani Amore che, architetto ben più violento del Tempo, compirà le modifiche,
abbassandone drasticamente l’altezza e ritoccando qualifiche e nobiltà della coppia apicale.
E anche
per Maria è così. Non può dedicarsi solo alle stelle ed ignorare la parte
prosaica della vita, e neppure può rassegnarsi al vuoto di affetti nel quale è
precipitata. Perciò, fra il calcolo dell’esatta posizione di una stella, o lo
studio dello spettro di una nana bianca, svolge anche tutta quella massa di
cose ripetitive, ma purtroppo non inutili, che servono per vivere e piange,
soprattutto ora, che la navigazione è
diventata troppo difficile ed è sola al timone. Come per tutti , quindi,
anche per lei, gioie poche o forse più facili da dimenticare, dolori tanti,
feroci, incancellabili. La vita tipo dei più: noiosa, forse inutile, e
nell’inconscio di ognuno, mai abbastanza lunga.
Ed
anche in questa vita assolutamente uguale ad altre, arriva la notte, il momento
più difficile per vivere soprattutto se la luce, che s’accende nella stanza,
non illumina che silenzio e solitudine. Per questo, molte notti Maria le passa lì, all’ osservatorio e quello
spazio seppur piccolo, che l’accoglie all’imbrunire, le è caro, molto più della
sua casa, i cui spazi si sono improvvisamente dilatati; una sorta di espansione
all’infinito che in alcuni momenti le fa sperimentare la sensazione del vuoto,
quello vero, quello che attanaglia lo stomaco e impedisce di respirare.
E lì, nello studiolo, sulla sua scrivania,
accanto al computer, alla fotografia, al fiore, c’é una carta dei tarocchi, un
trionfo,o meglio, un arcano: le Stelle. A Maria quella carta piace e le piace
anche la parola: arcano. Molto più di mistero, arcano sprofonda la mente nel
buio impossibile, come infinito, come vuoto, come eternità. Tutte parole,
queste, che la mente non può cogliere pienamente, parole che, non possono
essere evocate senza che il pensiero prenda coscienza dei suoi limiti..
La
giovane della carta, con abiti ricoperti di ricami dorati, che tiene in mano
con leggerezza una stella a otto punte potrebbe rappresentare proprio lei che, nelle
sue mani stringe il segreto del cielo.
C’è però qualcosa in quella fanciulla dai
tratti nordici, che la lascia perplessa. A guardar bene, l’espressione del suo
viso sembra molto triste e lei, quasi prossima alle lacrime, quasi come se una
punta di quella stella, che tiene in mano l’avesse ferita. E a Maria viene in
mente che, se la Stella è il passato, probabilmente può essere doloroso cercare di afferrarla o
peggio, di trattenerla.
Il passato. Puoi solo lasciare che si appoggi
dolcemente nei tuoi pensieri, libero e pronto a fuggire o a rotolare lontano,
quando meno te lo aspetti. Pensi che sia tuo, ma neanche quello ti
appartiene.
Improvvisamente
in questa storia irrompe una particella,
un’avversativa, un ma, che promette, attesa, mistero, arcano.
Ma.
Quella notte non è come le altre: non sono
previsti allineamenti speciali, non sono previste eclissi, non è prevista
neanche la luna, eppure qualcosa c’è, al di là di ogni previsione.
Il cuore di Maria batte, furioso, irrefrenabile, come in attesa
di un grande evento. Neppure quando pensa che a brillare al di là della lente
del telescopio potrebbe essere una stella mai osservata prima e che un giorno
potrebbe portare il suo nome, il cuore è così presente. Presentimento? no,
sciocchezze. Lei, la scienziata, cerca una spiegazione più prosaica: non
avrebbe dovuto bere quell’ultimo caffè. Ma quella bevanda nera, calda è un
conforto irrinunciabile quando i conforti sono pochi e di questi, il caffè è
forse il più efficace.
Però il cuore in gola è veramente scomodo per
chi deve passare una notte a misurare ed ad interpretare. Le tempie martellano
e non permettono di concentrarsi. Maria
respira profondamente: un po’ di ossigeno dovrebbe calmarla.
Ma.
Ancora
l’avversativa.
Le pare di udire un rumore . “Sto diventando
anche paranoica. Maledetto caffè”
E maledetta avversativa.
Il rumore è sempre più vicino, sono passi?
“Sono sola questa sera, passi di chi ? C’è nessuno ? C’è nessuno?”.
Ora,
il silenzio: sola come sempre, dunque.
Un tempo non era sola: un tempo le stelle le
guardava con … Una stretta al cuore, fortissima, un dolore profondo di nuovo,
in gola. Quel nome non poteva essere evocato, non poteva essere neanche pensato,
senza dolore, dolore fisico, non solo
dell’anima.
E improvvisamente le pare di risentire le sue
parole: “Guarda lassù, la mia casa”, il telescopio puntato verso un punto
nebuloso della costellazione di Orione, la culla delle stelle , “lassù ci sarà
la mia eternità”. Poi, insieme cercavano una stella vicina, per la casa di lei
.Vicina! anni luce di distanza; inconsciamente, o forse no, sapevano che anche
la morte non avvicina più di quanto non possa fare la vita. E dopo arrivavano i
pensieri filosofici. E parlavano, parlavano nelle lunghe notti.
Maria
sorrise pensato alle fantastiche teorie che elaboravano e cercò con lo sguardo la
pianta di violette africane, sempre fiorite. Era la sua pianta e, mentre guardava i vellutati fiori blu, le pareva di
sentire quella voce mentre spiegava, con convinzione, come i vegetali fossero gli esseri che, se proprio
fosse stato necessario mettere in scala le forme di vita, avrebbero avuto
diritto al primo gradino, quello più alto:
“Sono
gli unici -diceva- che sanno immagazzinare i raggi della nostra stella diurna,
e li sanno trasformare in cibo e, nei millenni, in sostanza fossile.”
Ma, per quanto così essenziali, raramente lui
si ricordava di annaffiare quelle violette e la loro preziosissima esistenza
era nelle mani di Maria.
Maria
guardò il cielo. Chissà, forse ora un po’ delle sue particelle sono lassù, forse è lì che un po’ di lui
brilla.
Solo un po’ però, perché molto è qui:
“Qui, adesso, vicino a me, e ne sento il
respiro caldo, che pure mi fa rabbrividire, vorrei sentirlo ancora quel
brivido, per sempre”
A
volte l’immaginazione è consolatoria: l’immaginazione.
Ma.
La pelle è davvero increspata e il cuore
salta.
“ Il mio cuore, dove sarà ora, il mio cuore.
Non ce l’ho più addosso”.
Maria prova ancora a combattere con quella che
lei vuole sia solo suggestione
“I miei capelli si sono mossi, ma non c’è vento, le stelle non tremano e allora
che cosa.?”.
Chiude
gli occhi. Per riposare o per assaporare questo istante, per cercare di
capirlo.
Improvvisamente ne è certa. Non è sola.
Lui
è qui .
Non
importa come sia possibile, quello che conta è che è qui.
E
allora, come allungare questo attimo, che non sarà per sempre, come comunicare. E’ possibile riudire la voce? Lei
l’ode ancora, ne ricorda tutti gli accenti,
ne sente la profondità e quel modo particolare di pronunciare alcune
consonanti. Quei toni caldi,
rassicuranti o quasi acuti nei momenti di rabbia. E sale la nostalgia anche per
quelli; la rabbia, l’irritazione, le parole acuminate, ma pur sempre la vita.
“Odiavo litigare con te, ma se questo ti
riporta anche solo un istante in vita, litighiamo. Furiosamente, dannatamente
come non abbiamo mai fatto. Devono sentirsi le nostre urla infuriate per le
strade, si devono accendere le luci di tutti. Che tutti sentano, quello che dobbiamo gridarci, sputarci.
Ma con te vivo, qui. Poi, quando avrò finito di piangere, ti potrò baciare, una
volta, mille volte e sentire la tua pelle e quella dannatissima barba ispida,
che mi graffia, ancora per favore, che mi graffia ancora.”
Questi ora sono i pensieri impazziti di Maria. Solo pensieri, ma quell’ aria leggera, pur
senza vento, quel brivido, quella sensazione sulla pelle: solo pensiero,
“Ma lui è qui”.
Maria sa leggere il passato, ma ora, che farne
di questo attimo di presente, che non esiste, non c’è,
”ma lui è qui”
Lei il presente non lo sa leggere e sente la paura
di non poter afferrare quest’ attimo, di non poterlo bere, sorseggiare,
centellinare come quell’aperitivo rosso, che lui preparava nelle sere
d’inverno, con gli amici. Ed ecco le risa alle sue battute ancor più
imprevedibili, data l’ apparenza così seria, così professionale. Rideva dunque
anche lui?
Ancora il passato, ma ora, che fare ora, che dire. Bisogna proprio parlare o forse basta il
calore di questo attimo, il contatto di questo istante; è necessario parlare,
per fermare la sensazione di questo brivido o sentirlo sulla pelle basta.
E domani ? quando tutto sarà finito ci saranno
i soliti rimpianti? avrei potuto fare, dire, urlare .
Ma domani per quanto vicino, è
già futuro e Maria non legge il futuro.
Intanto le poche nuvole nel cielo
si sono dissolte e le stelle sono lì , tutte quelle previste per la notte con
le loro posizioni, costellazioni, e tutti i pianeti con i loro satelliti. Notte
di luglio chiara, stellata. Nell’osservatorio solo Maria o forse no, non solo
lei . Forse le ombre dei suoi pensieri, dei suoi desideri, diventate
improvvisamente solide, palpabili . E riaffiora una sensazione, quella del mare
d’inverno, quando la spiaggia, delle migliaia di persone che l’affollavano in
stagione, non ha più che i ricordi, che riemergono sotto forma di oggetti, i
più improbabili, i più orribili, quelli buttati a mare per l’appunto. Plastiche
inutili e inquietanti. Queste intorno a Maria però, non sono plastiche,
inquietanti forse, struggenti sicuramente, ma certo, non c’e nulla di sintetico
in queste sensazioni che la avvolgono come fa la nebbia in novembre, ma più
dolorosamente. Naturali quindi ? soprannaturali forse.
E quindi il soprannaturale
avvolge Maria. In questa notte, lei può ancora risentire ciò che ormai era
stato archiviato come passato, può rivivere quegli attimi con lui.
All’improvviso sa che cosa potrà succedere,
ora, subito, se lo vorrà: sa che forse la chiave è nelle sue mani.
Maria legge il passato, lo interpreta attraverso le stelle: ecco, ora le è data la possibilità di
rileggere ciò che loro due furono, di
interpretarlo, di ritrovare la felicità. Lui è lì, pronto ad aiutarla in questo
compito. L’emozione le attanaglia la gola, mentre sente la sua presenza. Sente
l’odore della pelle, di quell’ultimo bicchiere di vino. Vino bianco, aromatico,
frizzante, inebriante. Che cosa rileggere e che cosa cancellare?
Il loro primo incontro? Potrebbe non esserci
mai stato. Il suo volto affonderebbe nelle migliaia di volti incontrati e
dimenticati e con esso il dolore. Non si può soffrire per ciò che non è mai stato. Non ci sarebbe mai stato,dunque, quel
sorriso, mai quell’espressione beffarda, mai quegli occhi, che leggono il cuore:
“il mio cuore non ha mai battuto
fino a far male per la gioia di quel primo appuntamento, e non sono mai stata
così felice da aver paura di morire , così serena come chi ha visto la Luce,
così arrabbiata da poter smuovere le montagne quando i tuoi occhi non erano nei
miei”.
Tutto questo può essere cancellato. Nessuna
sensazione, nessun ricordo, nessun dolore.
Il profumo è sempre più avvolgente,
penetrante: cancellare tutti i
sentimenti di allora per annullare la pena di oggi .
Improvvisamente, un nuovo arcano,
oltre l’incredibile, che sta già vivendo: non è più il volto di lui quello che
le appare ora lì, presente, tangibile. E’la ragazza della Stella che lei ora
vede, ed è suo, lo sguardo che si sovrappone a tutto il resto.
Quello sguardo. Maria ora lo comprende
pienamente ora che la stella sta pungendo anche lei, o meglio, la sta
lacerando. “Non puoi afferrare il passato, lascia che scivoli su di te, che
tocchi solo i tuoi pensieri, senza affondare”
E allora ancora un tuffo nel
passato, ma no, non un tuffo. Un’immersione lenta, uno scivolare a velocità
nulla, ma irrefrenabile.
Ancora il mare, ma questa volta il profumo
delle resine che dalla pineta arrivano a lei, sdraiata sull’acqua. Questa volta
l’azzurro l’avvolge: mare, cielo la stringono, ma solo un po’, non c’è dolore,
ma la certezza di essere parte del tutto. Serenità.
Ecco
un’ombra piccola, all’orizzonte dei suoi pensieri, lontana, sfuocata.
Non c’è fretta d’ingrandirla, sa bene chi è. E la lascia là, lontana, e intanto
ne spia i movimenti, ne indovina i gesti, mai dimenticati. Non c’è dolore
quando riconosce il suo passo, e quel modo di agitare le braccia per richiamare
la sua attenzione . Non c’è dolore ora che le sue mani sono lì e quasi le può
toccare. Tra poco, i suoi occhi: e lei potrà di nuovo entrargli
nell’ anima.
E finalmente eccoli di nuovo lì, uno di fronte
all’altra, come già accadde. Tutto come allora: loro, il luogo, persino il
vento è lo stesso e come allora li costringerà ad urlare se vorranno udirsi. Ma
qui non s’ode suono alcuno. I gabbiani volano tutti assieme, ma
silenziosamente, e appaiono ancora più leggeri , ancora più bravi a prendere il
vento. I suoni non si trasmettono; al movimento delle labbra non corrisponde
alcuna voce e le parole, le vecchie parole, sono cancellate.
Qui , in questa parte di universo
è padrona la luce e con lei si può giocare per comunicare. Non suoni, ma colori
dunque. E per un attimo Maria si abbandona al gioco, come un bambino prova le
sillabe e compone le parole, così lei cerca le sfumature che daranno luce ai
suoi pensieri. Finalmente è padrona del viola e ne assapora tutti i toni, poi
coraggiosamente, compone con tutti i colori in un crescendo di sfumature,
lampi, bagliori. E’ un arcobaleno la gioia infinita che prova; ha i riflessi di
una preziosa seta rossa il sentimento che l’avvolge.
E così lancia una serie di raggi, i più belli
tra quelli a disposizione, composti come solo Cezanne nei suoi momenti migliori
poteva fare. E radiazioni altrettanto preziose sono quelle che riceve in cambio
lassù, dove il colore non è decorazione ma essenza. Lassù, nel mondo della
luce, tra lampi e bagliori, Maria sente
il suo pensiero sciogliersi, frantumarsi come riflesso da un mosaico di
specchi.
Non c’ è lacerazione, nessun affanno: i ricordi sfumano, come l’azzurro all’orizzonte
fra mare e cielo, e anche lui, prima
quasi tangibile, si perde, trasformato in ombra sottile, pronto a mischiarsi ai
frammenti dei suoi pensieri, in un legame, che mai più potrà sciogliersi.
Maria sa che ora dovrà scegliere:
diventare luce o tornare là, dove ancora si può udire.
Per un attimo, in uno dei frammenti di
specchio, in cui si è scomposto il suo pensiero, vede riflessi gli occhi tristi
della ragazza della stella. Ancora, quegli occhi l’aiutano a pensare.
Potrebbe ritornare al quotidiano
e guardare le stelle, la notte, spiandole con i suoi strumenti. Il passato,
quel passato, non farà più male: lei ritornerà indietro con il pensiero e
ricorderà, senza lacrime.
Ma quegli occhi, quegli occhi riflessi, quelli
della ragazza con la Stella, sono ancora tristi: neppure per un attimo, anche
nel turbine di impossibile che ha
avvolto Maria, neanche per un breve istante, la fanciulla ha cambiato
espressione. Neppure il cenno di un
sorriso, un bagliore d’intesa, nulla. In quegli istanti di puro
irrazionale, anche questo sarebbe potuto accadere. Eppure no, l’occhio azzurro
è rimasto così, immobile, pieno di quelle
lacrime che da secoli trattiene.
Maria ora sa che non poteva
essere altrimenti. Sa che quello sguardo esprime l’infinita angoscia di essere
solo immagine, di non essere se non il riflesso di quelle miriadi di
particelle, che possono far soffrire, far scorrere quelle lacrime una volta,
milioni di volte, ma che possono anche
condurre alla Luce.
E così Maria sceglie.
E’pronta a ritornare quella che fu: miriadi di particelle, fascio di radiazioni
e rimanere lì, a comporre colori. I pensieri sono in pace e i suoi, sono
messaggi d’amore e li comporrà all’infinito per chi vorrà ascoltarla.
Il giovane ricercatore la
trovò così al mattino , seduta sulla sua sedia girevole, il computer acceso con
la foto sul cuore e il tarocco lì, sulla scrivania,. La guardò, e dei tanti pensieri che colgono
quando la morte appare, inattesa, uno fu il più forte e parlava di vita:
“Le viole, le sue viole, non devono
appassire”.
unpodichimica
Questo post partecipa al 3° Carnevale della Letteratura ospitato da Maria Cuccaro sul suo blog
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